La notte del 26 aprile 1986 all'una, 23 minuti, 58 secondi, vi fu la prima di una serie di esplosioni che distrussero il reattore e il fabbricato della quarta unità della centrale elettronucleare di Černobyl’. Questo incidente è diventato il più grande disastro tecnologico del XX secolo.
Per la piccola Bielorussia e la sua popolazione di dieci milioni di abitanti si è trattato di una catastrofe nazionale. […] Dopo Černobyl’ il paese ha perduto 485 tra cittadine e villaggi. Di questi, 70 sono stati interrati per sempre. […] Oggi un bielorusso su cinque vive in zone contaminate. Si tratta di 2,1 milioni di persone, fra cui settecentomila bambini. Le radiazioni sono al primo posto tra le cause del calo demografico. Nelle regioni di Gomel’ e Mogilëv il numero dei decessi è stato superiore del 20% a quello delle nascite.
Mi telefona da Gomel’ mio figlio:
- Ne vedi volare di maggiolini?
- Maggiolini non ce ne sono, e non si vedono neanche le larve. Si sono nascoste.
- E lombrichi ne hai visti?
- Se trovi un lombrico, è contenta la gallina. No, non ci sono neanche quelli.
- È il primo segnale: quando non ci sono né maggiolini né lombrichi, vuol dire che la radiazione è molto forte.
- Che cos'è la radiazione?
- Mamma, è un tipo di morte. Dovete convincere papà a partire. Per il momento vi sistemerete da noi.
- Ma se non abbiamo ancora piantato l'orto...
Se tutti fossero intelligenti, nessuno farebbe la parte dello stupido. Brucia la centrale? E con ciò? L'incendio è un fenomeno temporaneo, nessuno a quei tempi ne aveva paura. Non conoscevamo l'atomo.
Introduzione e testimonianze sono tratte dal romanzo-reportage Preghiera per Černobyl’ di Svetlana Aljaksandraûna Aleksievič, premio Nobel per la Letteratura nel 2015. Traduzione dal russo di Sergio Rapetti. Edizioni E/O del 2005.
CENTRALE DI CHERNOBYL
I primi giorni avevamo paura a sederci per terra, sull'erba, invece di camminare correvamo, non appena passava una macchina ci infilavamo le maschere anti polvere. Alla fine dei turni ce ne restavamo nelle tende. Dopo un paio di mesi... Era già una cosa più normale, ci eravamo abituati alla nostra nuova vita. Coglievamo le susine, pescavamo con la rete a strascico, ci sono certi lucci, laggiù, caspita! […] Ci affidavamo alla sorte, nel profondo dell'anima siamo tutti fatalisti, non farmacisti. E non razionalisti. La mentalità slava... Credevo nella mia buona stella. Ed eccomi qua invalido di seconda categoria... Mi sono ammalato subito. Quella maledetta sindrome da raggi... E dire che prima di questo non avevo neanche la cartella clinica al poliambulatorio.
[…]
Io non vedevo l'ora di salire sul tetto del reattore. "Non avere tanta fretta" mi hanno detto, "l'ultimo mese, prima del congedo, mandano tutti sul tetto". Dovevamo stare lì 6 mesi. Il quinto mese, puntualmente, ci hanno fatti spostare in un altro accampamento, proprio a ridosso del reattore. Ormai sul posto, battute varie, ma anche discorsi seri, sul fatto che saremo passati per il tetto... quanto saremmo campati dopo, cinque anni? Sette... Dieci... Chissà perché, la cifra che ricorreva più spesso era cinque.
"I volontari facciano un passo avanti!". Tutta la compagnia aveva fatto il passo in avanti. Davanti al comandante c'è un monitor, lo accende e sullo schermo appare il tetto del reattore: pezzi di grafite, bitume sciolto. "Ecco, ragazzi, vedete questi frammenti sparsi sul tetto. Li dovete sgomberare. E qui, in questo quadrato, dovete praticare un foro".
Tempo a disposizione, quaranta o cinquanta secondi per volta. Questo secondo le istruzioni. Ma era chiaramente impossibile, ci si metteva come minimo qualche minuto tra andata e ritorno, carico e svuotamento. Si lavorava in batteria: qualcuno caricava la barella, gli altri la scaricavano. Giù nel cratere del reattore, tra le altre macerie. Non dovevamo guardare in giù, era proibito. Ma ogni tanto guardavamo lo stesso. I giornali scrivevano: "Sopra il reattore l'aria è pura". L’aria è pura, certo, ma noi ci beccavamo certe dosi!
[...]
La verità è che in dotazione avevamo solo dei camici di gomma rivestiti di piombo polverizzato, sotto erano aperti, e avevamo pensato bene di integrarli con degli slip arrangiati da noi, sempre col piombo. Insomma, se non ci stavamo attenti noi...
Ci sfogavamo con le barzellette. Ne vuole sentire una? Mandano un robot americano sul tetto, lavora cinque minuti poi va in tilt. Provano con un robot giapponese: cinque minuti e si blocca. Il robot russo lavora da due ore, riceve un ordine via radio:" Soldato Ivanov, fra due ore puoi scendere per la pausa sigaretta".
Aleksandr Kudrjagin, liquidatore
PRIPJAT
Il reattore stava bruciando... Mi sono rimaste impresse le parole di un nostro conoscente: "C'è odore di reattore". Un odore indescrivibile. Ma ne hanno già parlato anche i giornali. Hanno voluto fare di Černobyl’ una fabbrica degli orrori, anche se poi quello che è venuto fuori è un cartone animato. Io racconterò solo quello che ho vissuto di persona... La mia verità...
Proibito portare con sè le proprie cose. E io non mi sarei portato via niente comunque. Tranne una cosa, una cosa sola! Dovevo togliere la porta d'ingresso dell'appartamento e portarla via, non potevo in nessun caso lasciarla lì... La nostra porta... Il nostro talismano! La reliquia della famiglia. Quando era morto, mio padre era stato messo disteso su questa porta. Non so in base a quale usanza, e se sia diffusa e dove, ma da noi, mi ha detto mia madre, si usava mettere il defunto sulla porta di casa. Avrebbe aspettato lì l'arrivo della bara. Ho vegliato tutta la notte mio padre disteso su quel catafalco... E la casa è rimasta aperta... Tutta la notte. Sulla porta ci sono delle tacche fin quasi al bordo superiore... Di quanto crescevo... E c'è anche indicato: classe prima, seconda. Settima. Inizio del servizio militare. E accanto, la crescita di mio figlio... Di mia figlia... Su questa porta è registrata tutta la nostra vita. Come potevo lasciarla?
Ho chiesto a un vicino che aveva la macchina: "Dammi una mano!". Mi ha fatto capire gesticolando che dovevo avere qualche rotella fuori posto. Ma l'ho recuperata lo stesso... due anni dopo... La porta... Di notte... In motocicletta... Attraverso la foresta... Il nostro appartamento era ormai stato depredato. Ripulito. Avevo alle calcagna quelli della milizia: "Fermo o spariamo! Fermo o spariamo!". Sicuramente mi avevano preso per un saccheggiatore. Non ci avrebbero mai creduto che stavo rubando la porta di casa mia...
Nikolaj Fomic Kalugin,
un padre
PARCO DI DIVERTIMENTI
Se solo mi fossi azzardato a sostenere che non era il caso di far scendere la gente in strada mi avrebbero subito detto: "Vuole sabotare la manifestazione del Primo maggio?". Sarebbe diventato un caso politico.
I giornali hanno scritto... Che mentre il popolo è in strada, noi eravamo nascosti in bunker sotterranei!? Io sono stato in piedi sulla tribuna per due ore sotto quel sole... Senza niente in testa, e senza soprabito... È il 9 maggio, il giorno della Vittoria. Ho mangiato con i veterani... Suonava la fisarmonica. Si è ballato. Si è bevuto. Eravamo tutti parte di quel sistema. Ci credevamo! Credevamo negli alti ideali. Nella vittoria! Vinceremo anche Černobyl’!
Se io sono un criminale, perché allora la mia nipotina... La mia piccola... È malata anche lei... Mia figlia l'ha messa al mondo quella primavera, ce l'ha portata a Slavgorod ancora in fasce. Nella carrozzina. Sono arrivate poche settimane dopo l'esplosione alla centrale... C'erano gli elicotteri che andavano e venivano e le strade ingombre di automezzi militari... Mia moglie mi supplicava: dovevano andare via, bisognava mandarle da qualche altro parente. Ma io ero primo segretario del comitato distrettuale del partito... Ero stato categorico nel rifiuto: "Che cosa penserà la gente se faccio andar via mia figlia con la bambina piccola? Quando i loro figli devono restare qui?". Quelli che intendevano squagliarsela, per mettere al sicuro la propria pelle... Li convocavo al comitato del partito: "Sei o non sei un comunista?". Era una verifica efficace. Se sono un criminale, come mai non mi sono preoccupato di mettere in salvo la mia bambina?
Ancora un dettaglio... Su come eravamo allora... In quei primi giorni non c'era solo paura ma anche entusiasmo. Io sono completamente privo dell' istinto di conservazione. Ho un senso del dovere molto sviluppato... Sulla mia scrivania avevo decine di domande: "Chiedo di essere inviato a Černobyl’". Volontari. Qualunque cosa ne scriviate sui vostri giornali, il carattere sovietico esisteva e come. E anche l'uomo sovietico. Qualunque cosa ne scriviate...
Solo più tardi ho cominciato a sospettare qualcosa... E abbiamo incaricato l'Istituto di Fisica Nucleare di eseguire controlli sul nostro suolo. Hanno prelevato campioni d’erba, di terra fertile e li hanno portati a Minsk per le analisi. A un certo punto mi telefonano: "Venite a riprendervi i vostri campioni, per favore; comunicateci data e modalità del trasporto". "Volete scherzare? Da qui a Minsk ci sono 400 km..." quasi mi era caduto di mano il ricevitore. "E dobbiamo venire fin lì a riprenderci quella terra?". "Non scherziamo affatto" mi rispondono. "In base alle nostre istruzioni, questi campioni vanno tumulati in un bunker sotterraneo di cemento armato. Ma noi riceviamo terra da tutta la Bielorussia. In un mese abbiamo già esaurito tutta la capienza disponibile.
Vladimir Matveevic Ivanov, ex primo segretario
del comitato di partito del distretto di Slavgorod
OSPEDALE
Lo scoppio vero e proprio non l'ho visto. Solo fiamme. Era tutto illuminato... Tutto il cielo... Le fiamme alte. La fuliggine che ricadeva. Un calore terribile. È lui che non arrivava. La fuliggine veniva dal bitume che bruciava, il tetto della centrale era coperto di bitume. Più tardi lui mi racconterà che ci avevano camminato sopra ed era molle come la pece. Loro spegnevano le fiamme. Gettavano giù a pedate pezzi di grafite incendiati... Erano partiti così com'erano, in camicia, senza indossare la tenuta protettiva. Non li aveva avvertiti nessuno, li avevano chiamati come per un incendio normale. Le quattro del mattino... Le cinque... Le sei... Alle sei avevamo in programma di andare dai suoi genitori. Le sette... Alle sette mi hanno fatto sapere che lui era in ospedale. Ci sono andata di corsa, ma l'ospedale era già stato isolato dagli agenti della milizia che tenevano la gente a distanza. Lasciavano passare solo le autoambulanze. Gli agenti gridavano: non avvicinatevi alle macchine, sono tanto radioattive che bloccano i contatori al massimo della scala.
Più tardi l'ho visto... Tutto gonfio, tumefatto... Quasi non gli si vedevano più gli occhi... "Ci vuole del latte. Molto latte!" m'ha detto la mia conoscente. "Devono bere almeno tre litri al giorno".
[...]
Allora venne fuori un medico e ci disse che sarebbero davvero partiti per Mosca in aereo, però noi dovevamo portare loro degli indumenti: quelli che avevano si erano bruciati alla centrale. Gli autobus non passavano più e dovemmo farci di corsa tutta la città. Quando ritornammo con le borse, l'aeroplano era già partito...
[...]
Lascio la stanza, esco in corridoio... Urto contro la parete, contro il divano perché non li vedo. Dico all'infermiera di turno: "Sta morendo". E lei mi risponde: "E cosa credevi? Hai ricevuto milleseicento röntgen quando la dose mortale è di quattrocento. Sei accanto a un reattore"... Tutto mio... Tutto amato...
[...]
E vivo così... Vivo contemporaneamente nel mondo reale e in un mondo irreale. E non so dire dove mi trovi meglio. Qui siamo in molti. L'intera via, e la chiamano proprio così: via Černobyl’. Gente che ha passato tutta una vita lavorando alla centrale. E molti di loro continuano a farlo, svolgendo a turno certe mansioni anche se nessuno vive più sul posto. Alcuni hanno delle gravi malattie, l'invalidità, ma non abbandonano la centrale, addirittura tremano al solo pensiero che possano spegnere i reattori. Chi può avere ormai bisogno di loro in un altro posto?
Ljudmilla Ignatenko,
moglie del defunto vigile del fuoco Vasilij Ignatenko
ASILO
A Malinovka, distretto di Cerikovskij, visitiamo un asilo. I bambini corrono per il cortile... Giocano con paletta e secchiello nella vasca della sabbia... La direttrice ci spiega che la sabbia viene cambiata tutti i mesi. Da dove arriva? Da dove volete che arrivi?... Non da molto lontano comunque. I bambini hanno certe facce tristi... cerchiamo di scherzare con loro, neanche un sorriso... Una maestra scoppia a piangere: "È tempo sprecato. I nostri bambini non sorridono. E piangono nel sonno". Per strada incontriamo una donna con un neonato. "Chi l'ha autorizzata a partorire qui? Con cinquantanove curie...". "È venuta una radiologa: mi ha solo consigliato di non fare asciugare i pannolini all'esterno".
[...]
Ho conservato un po' di istruzioni... Riservatissime... Le darò anche quelle... Scriva un libro onesto... Le istruzioni per la lavorazione del pollame contaminato... Nei reparti, gli addetti dovevano essere vestiti come su un terreno esposto a emissioni radioattive: guanti e camici di gomma, stivali eccetera. Se la radiazione raggiungeva un certo numero di curie, bisognava far cuocere i polli in acqua salata, versare l'acqua nella fognatura e usare la carne, in percentuali stabilite, per pasticci e salami; se la radiazione era più elevata, bisognava aggiungere la carne alle farine animali per l’alimentazione del bestiame... Ecco come si completavano i piani per la fornitura di carne.
Irina Kiseleva, giornalista
SCUOLA n.3
A scuola insegno lingua e letteratura russa. È successo, se non sbaglio, all'inizio di giugno, durante gli esami. Improvvisamente il direttore della scuola ci ha convocati per annunciarci: "Domani tutti devono presentarsi a scuola con dei badili". Spiegazione: dovevamo togliere lo strato superiore di terra, contaminato, tutto attorno agli edifici scolastici, poi sarebbero venuti i soldati ad asfaltare. Domande: "Che mezzi di protezione verranno distribuiti? Ci consegneranno delle tute speciali e dei respiratori?". La risposta era stata no. "E' previsto solo che si scavi con i badili".
A parte due giovani insegnanti che si sono rifiutati, tutti gli altri, cioè tutti noi, hanno obbedito. In simili casi l'avvilimento è compensato dalla consapevolezza di fare il nostro dovere: che consiste nell'essere la dov'è il pericolo, per difendere la patria. Ho forse mai insegnato qualcosa di diverso ai miei allievi? No, solo questo: andare dove occorre, gettarsi nel fuoco, difendere, sacrificarsi. La letteratura che ho insegnato non parlava della vita ma della guerra. Solo due giovani insegnanti si erano rifiutati ma erano della nuova generazione... Erano già persone diverse...
Scavavamo dalla mattina alla sera. Quando tornavamo a casa ci sembrava strano, incomprensibile, vedere i negozi aperti e le donne che compravano calze o profumi. In noi si era creata una mentalità da tempo di guerra. Poi sono arrivate anche le code: per fare provvista di pane, sale, fiammiferi, e questo già lo capivamo meglio...
Ekaterina Fedorovna Bobrova,
evacuata dalla città di Pripjat
SCUOLA n.3
In città c'erano settecento chilogrammi di questi preparati di iodio. Sono rimasti inutilizzati nei depositi... I nostri dirigenti avevano più paura della collera dei propri superiori che dell'atomo. Ognuno di loro stava ad aspettare una telefonata, un ordine, ma per conto suo non prendeva nessuna iniziativa. Io mi portavo sempre un dosimetro nella borsa... Cosa me ne facevo? Non mi ricevevano più da nessuna parte, si erano seccati...
[...]
A quel che ne so, loro (i capi) lo iodio lo prendevano. Quando i collaboratori del nostro istituto li avevano controllati erano tutti con la tiroide a posto. Senza iodio non è possibile e hanno anche spedito i propri figli lontano, di soppiatto.
Controlliamo i bambini dei villaggi... Maschi e femmine... 1500, 2000, 3000 microröntgen... più di 3000... Queste bambine... Non potranno mai diventare madri... Hanno delle alterazioni genetiche... Un trattore sta arando. Chiedo a un impiegato del comitato distrettuale del partito che ci accompagna:
- Il trattorista ha almeno una maschera per proteggersi?
- No, lavorano senza maschera.
- Come mai, non ve le hanno mandate?
- Ma le pare? Ce ne hanno anzi portate così tante che basterebbero fino all'anno duemila. Ma noi non le distribuiamo. Si scatenerebbe il panico. Scapperebbero via tutti quanti! Partirebbero tutti.
Quale potere! Lo smisurato potere di un uomo su un altro. Non è più solo un inganno, è una vera e propria guerra, una guerra contro gli innocenti...
Vasilij Borisovic Nesterenko,
ex direttore dell’Istituto di energia nucleare
dell’Accademia delle Scienze di Bielorussia
Secondo le disposizioni affisse in ogni ufficio bisognava informare immediatamente la popolazione, distribuire respiratori e maschera antigas, eccetera. Avevano aperto i loro depositi segreti, sigillati e piombati, trovando però ogni cosa in uno stato deplorevole, era tutto fuori uso o inutilizzabile. Nelle scuole le maschere antigas erano modelli d'anteguerra e comunque di misura inadatta ai bambini. I rilevatori della radioattività restavano bloccati al massimo ma nessuno riusciva a capirci niente, non c'era mai stata una situazione del genere. E allora hanno semplicemente spento i dosimetri.
Natal’ja Arsen’evna Roslova,
presidente del Comitato femminile
di Mogilev “Bambini di Černobyl’”
ZONA DI ESCLUSIONE
Ci hanno fatto firmare un documento che ci impegnava alla segretezza... E io ho taciuto... Subito dopo il servizio militare mi è stata riconosciuta un'invalidità di seconda classe. A ventidue anni. Mi sono beccato la mia parte... Trasportavamo la grafite con dei secchi... Diecimila röntgen... La raccoglievamo con semplici badili e palette, sostituendo fino a trenta volte nella giornata il filtro delle maschere, che la gente chiamava “museruole”. [...]
Ci restavano tre mesi di servizio militare. Quando siamo ritornati ai nostri reparti, non ci hanno dato neanche un'uniforme pulita. Abbiamo continuato a indossare le stesse giubbe e gli stessi stivali che avevamo al reattore. Fino al giorno in cui siamo tornati a casa...
Ma anche se non me l'avessero proibito, a chi avrei potuto raccontarlo? Lavoravo in fabbrica. Il caporeparto: "Piantala con tutti questi congedi per malattia, altrimenti ti licenziamo". E l'hanno fatto. Sono andato dal direttore: "Non avete il diritto. Sono andato a Černobyl’. Per salvarvi, proteggervi!". "Non siamo stati noi a mandarti laggiù".
Aleksandr Vasil’evic Sinkevic,
agente della milizia
liquidatore
LIBRI
Qui i libri si trovano senza difficoltà, non ci vuole niente a procurarseli. Una brocca di coccio per l'acqua, una forchetta, un cucchiaio ormai non c'è verso di rimediarli, ma i libri sono sempre lì.
[…]
Sono qui tutto solo. Penso alla morte. È un po' alla volta ho scoperto che pensare mi appassiona... Il silenzio favorisce la preparazione... L'uomo vive in mezzo alla morte, ma non ne capisce l'essenza. Io qui sono solo... Ieri ho scacciato dall'edificio della scuola una lupa coi suoi lupacchiotti, si erano stabiliti lì.
[…]
Come mi chiamo? Sono senza documenti. Me li hanno sequestrati quelli della milizia… Mi hanno anche picchiato: “Perché fai il perditempo?”. “Non perdo nulla, anzi acquisto molto con la penitenza”.
Cosi che può scrivere di me: Nikolaj, servo di Dio…
E, adesso, uomo libero…
Residente non autorizzato
VILLAGGIO DI ZALYSSA
- Mettiamo pure che sia avvelenata dalla radiazione, ma è pur sempre la mia terra natale. In nessun altro posto hanno bisogno di noi. Perfino l'uccello ama il suo nido...
- Ragazze! Non piangete! State a sentire. Una donna di Černobyl’ dice a un'altra: "Hai sentito cosa dicono, che ormai abbiamo tutti il sangue bianco?". E l'altra: "Sono tutte fesserie! Ieri mi sono tagliato un dito, e il sangue era rosso come prima".
- Con noi sono tornati anche i gatti. E i cani. Siamo tornati insieme. I soldati non volevano lasciarci passare. Erano quelli delle truppe speciali della milizia. Ma noi siamo passati lo stesso, di notte... Per i sentieri della foresta... Quelli dei partigiani...
- Non ci faremo più imbrogliare da nessuno, nessuno riuscirà più a farci andar via da casa nostra. Non ci sono negozi, non c'è ospedale. Non c'è elettricità. Ci arrangiamo con le lampade a petrolio e legnetti come candele. Ma stiamo bene lo stesso! Perché siamo a casa.
- Chi non spera, si dispera. Vi dico l'ultima: un'ucraina vende al mercato delle grosse mele rosse. Offre la sua merce: "Comprate le mie mele! Belle mele di Černobyl’!". Qualcuno le suggerisce: "Non lo dire, brava donna, che le mele sono di Černobyl’. Non te le comprerà nessuno". "Tu credi? Le comprano e come! Chi per la suocera, chi per il capufficio!"
Si tratta del villaggio Belyj Bereg nel distretto di Narovlja della provincia di Gomel’. Parlano: Anna Pavlovna Artjusenko, Eva Adamovna Artjusenko, Vasilij Nikolaevic Artjusenko, Sof’ja Nikolaevna Moroz, Nadezda Borisovna Nikolaenko, Aleksandr Fedorovic Nikolaenko, Michail Martynovic Lis.
STADIO
A metà del periodo hanno finalmente distribuito a tutti quanti un dosimetro personale, cento scatolette con all'interno un cristallo. Alcuni hanno subito cominciato a pensare alla loro migliore utilizzazione: bisognava portarli la mattina vicino a un cumulo, lasciarli lì e poi recuperarli a fine giornata. Il calcolo era semplice: più radiazione ci fosse stata, più presto li avrebbero congedati. O quantomeno avrebbero dovuto loro più soldi.
Qualcun altro andava in giro col dosimetro appeso alla cinghia di uno stivale, perché fosse più vicino al suolo. Il teatro dell'assurdo, visto che quei contatori erano scarichi, perché potessero funzionare andavano caricati con una dose di radiazione iniziale. In poche parole quei gingilli, quei ciondoli ce li avevano dati solo per scena. Come psicoterapia. Erano dei congegni che funzionavano a cristalli di silicio, dimenticati nei magazzini militari da qualche decennio.
Quando ci hanno congedati, la cifra segnata sui nostri libretti militari era la stessa per tutti: la dose media di radiazione moltiplicata per il numero di giorni. La dose media era semplicemente quella rilevata nelle tende dove vivevamo.
Ivan Nikolaevic Zmychov
Ingegnere Chimico
PISCINA
Stiamo viaggiando lungo il Pripjat. Sulla riva ci sono delle tende, intere famiglie in vacanza. Fanno il bagno nel fiume, prendono il sole. Non sanno che già da qualche settimana si stanno bagnando e abbronzando sotto una nube radioattiva.
Ci è severamente vietato avere contatti con la popolazione. Ma vedo dei bambini... Mi avvicino e comincio a spiegare. C'è molta perplessità: "E come mai la radio e la televisione non ne parlano?". Il nostro accompagnatore... Viaggiavamo sempre scortati da un rappresentante delle autorità locali del partito, era la regola... Il nostro accompagnatore tace... Posso leggergli in viso i sentimenti che lo lacerano: riferire o non riferire? Ma al tempo stesso non poteva non provare pena per quella gente! Come qualsiasi uomo normale... Non so però che cosa avrebbe prevalso al nostro ritorno. Riferire o non riferire? Ognuno faceva la sua scelta...
Vasilij Borisovic Nesterenko,
ex direttore dell’Istituto di energia nucleare
dell’Accademia delle Scienze di Bielorussia
PALESTRA E AULA DELLA MUSICA
Abbiamo portato lo spettacolo divertente nella zona di Černobyl’. Era intitolato “Pozzo, dai l'acqua”, una favola. Siamo arrivati a Chotimsk, il capoluogo del distretto. Lì c'è un orfanotrofio. Gli orfani non erano stati evacuati.
L'intervallo. Gli spettatori non applaudono. Non si alzano. Se ne restano tutti in silenzio. Alla fine dello spettacolo, la stessa cosa. Non applaudono. Non si alzano. Se ne stanno zitti.
I miei studenti sono in lacrime. Ci riuniamo dietro le quinte: ma cosa hanno? Poi abbiamo capito: loro credevano a tutto quello che si svolgeva sulla scena. Per tutto lo spettacolo i personaggi aspettano un prodigio. I bambini comuni, che vivono in famiglia, capiscono che si tratta solo di teatro. Invece questi si aspettavano sul serio che accadesse quel prodigio atteso da tutti...
Lilija Michajlovna Kuzmenkova,
regista e insegnante all’Istituto
di divulgazione culturale di Mogilëv
DOUGA3
L'indomani mattina abbiamo raggiunto la nostra unità nella foresta. Ci hanno fatti schierare e ci hanno chiamati in ordine alfabetico. Distribuzione dell'equipaggiamento. A ognuno danno una tenuta da lavoro, un'altra e anche una terza, beh, penso, sembra una faccenda seria. E ancora consegnano a ognuno, oltre a materasso e cuscino, un pastrano, un berretto, tutte cose invernali. Però siamo ancora in estate e ci avevano promesso di congedarci dopo 25 giorni. "Ma volete scherzare, ragazzi" dice ridendo il capitano che ci aveva accompagnati fin lì. "25 giorni?! Resterete in ballo per almeno sei mesi".
[...]
Cos'è la radiazione? Nessuno ne ha mai sentito parlare. Io però, combinazione, sono stato a certi corsi di difesa civile nei quali ci avevano fornito delle informazioni vecchie di trent’anni: 50 röntgen la dose mortale. Ti insegnavano anche a buttarti per terra, affinchè l’onda d’urto ti passasse sopra senza danni. Ma neanche una parola sul fatto che la contaminazione del terreno era il fattore che più poteva nuocere all’organismo umano. E gli ufficiali di carriera che ci accompagnavano a Černobyl’ non ne sapevano molto neanche loro, avevano l'unica certezza: più vodka si beveva, più si era protetti dalle radiazioni. [...] All'inizio abbiamo bevuto vodka, poi ho visto girare delle strane bevande: anticongelanti e detergenti d'automobile. Come chimico, la cosa mi incuriosiva. Dopo quegli intrugli le gambe ti diventavano di bambagia, ma la testa è lucida, ordini a te stesso: "In piedi!" e intanto caschi per terra.
Ivan Nikolaevic Zmychov
Ingegnere Chimico